XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Riconoscenza-Fede-Azione esprimono l’atteggiamento di due lebbrosi, che non fanno parte dei giudei, quindi stranieri, di cui ci viene narrato nella prima lettura e nel vangelo: Naaman il Siro, l’altro un samaritano. Entrambi vengono guariti dalla libra ad opera del profeta Eliseo, il primo, il secondo ad opera di Gesù e questi insieme ad altri nove. Questi è un Samaritano, unico che torna indietro “lodando Dio a gran voce” e gettandosi ” ai piedi di Gesù per ringraziarlo”. Anche Naaman, il generale siriano, torna indietro a ringraziare “l’uomo di Dio”e gli offre un dono. Poiché Eliseo, profeta, si rifiuta ardentemente di accettarlo Naaman gli chiede il “permesso di caricare qui tanta terra quanta ne portano due muli perché” lui non intende, d’ora in poi, ” offrire sacrifici ed olocausti all’infuori del Signore”. Per quanto riguarda i nove lebbrosi, oltre il Samaritano, guariti da Gesù, c’è da dire solamente, che loro vengono esclusivamente guariti mentre il Samaritano è salvato: “la tua fede ti ha salvato”. Nella seconda lettura, Paolo, nello scrivere a Timoteo, gli ordina di conservare la memoria: “Ricordati di Gesù Cristo”, Messia, figlio di Davide, risorto dai morti, fedele nell’amore verso di noi, nonostante i nostri peccati e le nostre infedeltà, poiché egli non può rinnegare se stesso.
Per essere un vero credente è sufficiente abituarsi a ricevere: Dio non si paga ma si riceve. Ciò, finalmente, lo capisce anche i Siriano e allora chiede il permesso di portarsi a casa qualche sacco pieno di quella terra per celebrare il Dio di Israele. La gratitudine, secondo modo, nasce dalla consapevolezza, non da ciò che mi è dovuto: Cristiano è colui che rende grazie e non colui che pretende di ricevere qualsiasi grazia. La seconda lettura è una prosecuzione di quella della scorsa settimana. In essa san Paolo dice al discepolo Timoteo che nella vita bisogna lottare pertanto non bisogna scoraggiarsi. La libertà della parola, che ha crocifisso Gesù, ha portato Paolo in carcere: “Io soffro fino a portare le catene come un malfattore e ne ha provato così la sua efficacia: ” sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch’essi raggiungano la salvezza”. Pertanto Timoteo deve fare attenzione perché un messaggio che non suscita opposizione non sarebbe una “buona parola”. la nostra ragione di vivere poggia su Gesù Cristo, che è morto per noi: la nostra ragione di sperare consiste nel fatto che la nostra debolezza è vinta dalla sua instancabile fedeltà. Pertanto non dobbiamo perdere il coraggio perché egli è con noi. Il Vangelo dell’odierna Domenica, la 28a, ci immerge nella terza tappa del cammino che Gesù sta facendo verso Gerusalemme e chiama anche noi, suoi discepoli, in quanto cristiani, ad entrare con lui in città per morire definitivamente al peccato (in senso biblico entrare è penetrare nel profondo di noi stessi per trovarvi condivisione, partecipazione, vicinanza, amicizia. Egli entra continuamente nella storia di ogni uomo: Basta aprirgli e lasciarlo entrare). Saliamo, pertanto, con lui fino all’abbraccio gioioso col Padre.
Gesù “entrando in un villaggio” che non ha nome, incontra dieci malati di lebbra, emarginati, disprezzati, che lo invocano ” Gesù maestro, abbi pietà di noi”. Egli accoglie la loro preghiera, che anche la nostra, li invita a raggiungere il tempio e i sacerdoti della Città santa. Ci invita ad abbandonare l’emarginazione del peccato e a tornare alla casa del Padre dove Lui e il Padre ci attendono.